Non chiamarmi zingaro
<< Mi piacerebbe davvero arrivare a una conclusione di questa storia perché i casi sono due: o ci bruciate tutti o ci accettate. Una qualunque delle due soluzioni, ma non lasciateci più a metà strada. Quella che certa gente sta combattendo non è una guerra mia>>. Così parla Doro, uno dei tanti Rom e Sinti intervistati da Pino Petruzzelli per il suo ultimo libro “Non chiamarmi zingaro”, edito Chiarelettere. Regista, autore e attore, Pino Petruzzelli nasce a Brindisi e, dopo gli studi a Roma, lavora per mettere la cultura al servizio di importanti cause sociali, andando a conoscere in prima persona le realtà che poi racconta. È così che nasce questa raccolta di testimonianze, il cui primo obiettivo è quello di far vedere chi sono veramente i “temutissimi” rom usando un espediente per essi abbastanza inusitato: dando a loro la parola. In primis l’autore affronta l’annosa questione del “chi sono i rom?”, perché, come scrive Predrag Matvejevic nel prologo al libro, chissà da dove vengono o dove vanno. Ignoriamo se partano oppure tornino. Non hanno un proprio territorio né un proprio governo. Hanno tutti un paese natale, ma non una patria. E dunque chi sono i rom? cosa sappiamo noi dei rom? I rom sono quelli che si chiamavano zingari, prima che questo termine assumesse un’accezione negativa, tanto che ora nemmeno tra di loro usano più questa parola. I rom sono quelli che vivono nei campi nomadi. I rom sono quelli che furono sterminati nei campi di concentramento insieme agli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Sappiamo che in alcune regioni rappresentano la maggioranza dei mendicanti, questo lo sappiamo bene. Se poi guardiamo un qualunque telegiornale, specie negli ultimi tempi, veniamo a conoscenza di altre cose sui rom: sappiamo che rubano, stuprano, uccidono, spacciano… Ecco cosa sappiamo di loro, o meglio cosa la tv tiene a farci sapere. Eppure non stupisce che si sappia così poco di questa antica etnia, poiché, come spiega Petruzzelli, la loro cultura non si basa su testimonianze scritte, permanenti e consultabili, ma si tratta di una cultura orale, fatta di canzoni, poesie, tradizioni che si tramandano di bocca in bocca e che dunque vivono solamente nei ricordi di chi le ha vissute. Il tutto si complica poi col fatto che in realtà quelli che noi chiamiamo zingari si dividono tra Rom, provenienti dall’Est europeo, e Sinti, dall’area germanofona; questi due gruppi a loro volta si dividono in innumerevoli sottogruppi, quindi come fare a raccontare la storia millenaria di un popolo così ricco di sfaccettature? La soluzione adottata da Petruzzelli è stata appunto quella di dar loro la parola. Veniamo così a conoscenza di tutto un mondo difficile da immaginare: cittadini italiani che si sentono costretti a nascondere la loro discendenza rom per paura di essere discriminati, intere famiglie obbligate a trasferirsi da un posto a un altro perché mal visti e mal trattati dai “gagè” (tutti coloro che non sono né Sinti né Rom), datori di lavoro che nascondono il fatto di avere dipendenti rom per vergogna, partigiani Sinti e Rom morti per la libertà del nostro paese e da sempre ignorati… Ma la cosa che più fa male è l’accorgersi che tutto ciò non ha una spiegazione logica. Perché sono così odiati? Perché perseguitare un popolo che, come ricorda Mariella Mehr, scrittrice jenisch (popolazione zingara della svizzera), non è mai nemmeno entrato in guerra? Ma forse è proprio questo il motivo: Rom e Sinti dimostrano come sia possibile vivere senza dichiarare guerra, senza aver recinti da difendere, senza una rigida burocrazia, lavorando senza diventare schiavo del lavoro. Probabilmente è la loro libertà che più ci spaventa. E allora li vogliamo omologare, vogliamo che lascino i loro tradizionali lavori di musicisti, cestai, artigiani…, che trovino un lavoro “normale”, che vivano sedentariamente in una casa “normale” e che si comportino in modo “normale”. “Normale” ovvero come noi. Perché chi ruba per dar da mangiare ai figli è un ladro, ma chi evade le tasse no. Perché chi mendica sulla strada con i propri figli al seguito, non avendo un posto dove lasciarli, sfrutta i bambini, ma chi si danna perché i figli vengano presi in tal pubblicità o in talaltro film no. Perché quando un incidente stradale è causato da un rom è sicuramente sempre più grave. Invece di impegnarci così tanto per limitare la libertà di questa etnia, dovremmo imparare qualcosa dalla loro filosofia di vita, per esempio godendovi quello che avete senza pensare che potreste avere di più. Hai poco? Quel poco goditelo. Goditi il sole e anche la pioggia. Non dare troppa importanza al risultato. Se Tizio deve dipingere un piatto non importerà il risultato quanto la persona che c’è dietro. Alla base di tutto c’è l’essere umano. Noi non vediamo il punto di arrivo, ma l’uomo che c’è dietro a quel punto. Si tratta di una filosofia molto distante dalla nostra, a tratti ci apparirà forse inconcepibile, ma è sempre bene conoscerla.
“Gli zingari possono insegnarci quanto poco importanti siano le frontiere” (Gunter Grass, premio Nobel per la letteratura)
Laura Isacco