La vicenda Wall Street (parte prima)

Uno dei diversi beni sequestrati nel lecchese al clan dei Coco Trovato si chiama Wall Street.
Era un ristorante pizzeria frequentato. Poco distante dal centro della città.
Tra una margherita ed un sorso di birra si riciclavano milioni di lire sporchi e si perfezionavano giri di spaccio di droga e l’agenda delle estorsioni.
L’inchiesta che colpì il clan Coco Trovato prese il nome proprio della pizzeria: Wall Street.
Franco Coco Trovato era un capace imprenditore d’Ndrangheta. Affari, macchine lussuose, droga, pizzo e qualche morto sulla via. Coco Trovato ha confessato cinquantasette omicidi (57!).
L’inchiesta Wall Street – portata avanti da Armando Spataro negli anni ’90 – lo paragonava a Matteo Messina Denaro proprio per questa sua inclinazione al divertissement. Detto “o calabrese”, Franco Coco Trovato era noto pure per la truculenza che impiegava nel levarsi di torno le “mosche”, gli ostacoli che gli si paravano davanti. Un episodio su tutti: un colpo alla testa di Ciro Batti ed il corpo fatto sparire pressato in un’automobile destinata allo sfasciacarrozze.

Franco Coco Trovato era però stimato in città. Così “rispettato” che venne pure insignito dell’onorificenza di “Cavaliere di Betlemme” da Giuseppe Crippa, allora presidente dell’Unione dei commercianti nostrana.        Un esempio da seguire insomma.
Il 31 agosto del ’92 Franco Coco Trovato venne arrestato proprio nel suo bunker fasullo. Il ristorante pizzeria era intestato alla moglie Eustina Musolino (sorella di Vincenzo Musolino: mafioso e prestanome di Franco Coco Trovato). La strategia dell’intestazione ad altri è un metodo abituale dei mafiosi per confondere (più o meno) le acque. Locali insospettabili spesso celano traffici di droga e riciclaggio di denaro. Locali spesse volte immersi nella movida del centro città.
Magari frequentati da personaggi rispettati e stimati schiavi del detto latino pecunia non olet.

La pizzeria Wall Street si trova a Lecco in via Belfiore. Più o meno di fronte all’istituto Fiocchi.

Esattamente qui.

Nel lontano 1993, un anno dopo l’arresto del boss mafioso calabrese, il sindaco Pino Pogliani (ora consigliere comunale fuoriuscito dalla Lega Nord) levò le licenze al bunker. Nel 1994 fu la volta del sequestro dello Stato.
Ad oggi fanno 14 (o 15 a seconda dei punti d’osservazione) anni in stato di “giungla” per questo bene. Non esistono altre parole per descrivere lo stato attuale in cui versa la pizzeria di via Belfiore. Un cancello di ferro battuto alto quasi un metro e mezzo ed un vialetto lungo qualche metro. In fondo al breve corridoio scoperto c’è il fabbricato. Svuotato delle cucine e degli arredi e sigillato. Ridotto in rovina dalla cialtroneria ignorante di coloro che avrebbero dovuto occuparsene.
Si parlò di destinarlo ai giovani disagiati e di renderlo pizzeria per permetter loro di valorizzarsi e valorizzarlo. Poi la Prefettura disse che l’avrebbero preso i Vigili del fuoco. Un tira e molla che si trascinò sino al 2006 quando l’attuale vice sindaco Daniele Nava, che rappresentava il Comune di Lecco, ritirò le chiavi direttamente dal Prefetto. Al 2008 non s’è ancora fatto nulla.
Il senso del sequestro e confisca del bene mafioso è così svuotato. La ratio dovrebbe esser sommariamente questa: “Hai visto cittadino? Prima c’erano i mafiosi che riciclavano i soldi sporchi ed ora c’è lo Stato che l’ha sistemato e ne ha ricavato pure ricchezza culturale, sociale ed economica”.
Il messaggio che Wall Street rappresenta è esattamente il contrario.
Per rimettere in forma l’ex pizzeria occorrono circa due milioni di euro. Il Comune si guarda bene dal farlo.
Un pò per le casse dissanguate ed un pò per disinteresse.
Gli ultimi sviluppi vogliono che il fabbricato venga raso al suolo ed al suo posto costruiti mini appartamenti popolari. Pur essendo favorevole ad investire in edilizia popolare, mi permetto però di criticare questa possibile soluzione. Negli ultimi anni Lecco s’è vista invadere da cemento su cemento. Da palazzoni e da enormi muri in mattoni rimasti in larga parte sfitti o invenduti. Sorprende quindi che si abbatta proprio quella Wall Street che invece andrebbe resa simbolo di lotta e (in questo caso) vittoria contro la ‘Ndrangheta.

Duccio Facchini


PS:
Alcuni volenterosi ragazzi, con i Giovani Comunisti e Qui Lecco Libera stanno promuovendo una petizione popolare in cui vien denunciata l’assenza di uno spazio dove potersi esprimere o organizzare eventi di cultura, musica e integrazione sul territorio rivolto alle nuove generazioni. Raccolgono firme. Stiamo a quota 350 per adesso nel giro di pochi giorni.
Se foste interessati potrete avere ulteriori informazioni consultando questo link:

http://www.myspace.com/lospaziochecispetta

Un pensiero su “La vicenda Wall Street (parte prima)

  • 23 Dicembre 2008 in 14:12
    Permalink

    Ci voleva un articolo come questo, bravissimi!

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