Lavoro e dignità. Accanto ai lavoratori della Leuci
Siamo accanto ai lavoratori della Leuci; per questo vi invitiamo a partecipare alla manifestazione indetta a difesa della azienda stessa e del suo patrimonio (quello vero).
GIOVEDI 8 OTTOBRE con ritrovo presso la fabbrica di via XI Febbraio alle ORE 8,15. Da lì partirà un corteo che si concluderà con un presidio di fronte alla sede dell’Amministrazione Provinciale in Corso Matteotti. “Non molliamo!”.
Per chi fosse rimasto indietro e fosse curioso di ripercorrere le tappe principali della vicenda relativa alla Leuci può leggere questa scheda conoscitiva a cura RSU aziendali.
Leuci, un’emblematica storia italiana
“La Leuci è un’azienda storica del lecchese produttrice di sorgenti luminose. Nata nel lontano 1919 rappresenta in modo crescente la produzione italiana di lampade di qualità consacrata anche dalle prime pionieristiche trasmissioni televisive a difesa del consumatore come leader “qualitativo” nel mondo. Arriva a dar lavoro a circa 700 dipendenti e, grazie alla continua evoluzione tecnologica, a produrre annualmente ben 140 milioni di lampade di svariati tipi.
A partire però dalla fine degli anni 90 registra difficoltà di mercato a cui cerca di far fronte iniziando alcune diversificazioni produttive contemporaneamente ad una graduale riduzione di personale, mai comunque in forma “traumatica” e cioè non rimpiazzando i pensionati e con qualche ricorso agli ammortizzatori sociali.
Nel 2006 al momento della vendita a Pisati ( patron della L.C. Relco spa con pacchetto azionario di maggioranza detenuto da una Holding lussemburghese ) e soci, costituitosi in un’apposita società Trident, la situazione è delicata ma tutt’altro che compromessa come certificato anche da una riclassificazione del bilancio appositamente commissionata dal sindacato : “… non ci sono però situazioni ad un punto critico.”.
I nuovi detentori del pacchetto di maggioranza della Leuci, immediatamente ”sondati” dalle Rsu e dal Sindacato preoccupati dalle caratteristiche dell’operazione, dipingono uno scenario entusiastico dell’italianità e qualità dell’azienda impegnandosi anche per iscritto ad un rilancio per “ il mantenimento del proprio ruolo primario in Europa quale produttore di lampadine e di apparecchi illuminanti…”. Si promettono iniezioni di capitali freschi ( 5 milioni di euro) , una riorganizzazione interna ed una efficace ristrutturazione sia della rete di vendita che d’ acquisto. Invece con una serie di scelte più o meno motivate da una presunta ricerca d’efficienza, nei fatti si registra un graduale svuotamento del patrimonio professionale e la disarticolazione importanti settori aziendali ( logistica, programmazione, componente tecnica…). In cifre, a fronte di ripetute affermazioni di Pisati circa la sua non volontà di procedere a dei licenziamenti, si passa in 3 anni dai 250 dipendenti “ereditati” ai 130 attuali e da 90 milioni di lampade prodotte ai 20 milioni dell’ultimo anno lasciando nei fatti languire le diversificazioni iniziate e mai concretizzando alcuni progetti annunciati e sottoscritti di riconversione parziale in vista della messa al bando graduale delle lampade ad incandescenza già previste nel mercato europeo.
Arrivando velocemente ai giorni nostri, a luglio l’azienda ribadisce attraverso l’Unione Industriali la sua intenzione di procedere alla richiesta di un’ulteriore percorso di cassa integrazione in deroga in attesa di sviluppi poi, subito dopo le ferie, comunica con un repentino voltafaccia che in Leuci ci sarà posto solo per
28/30 persone rispetto alle attuali 100/130. E’ una vera e propria dichiarazione di chiusura vista anche la sproporzione tra area industriale “impegnata” e numero di addetti che si profila.
Inoltre Pisati ribadisce ciò che negli ultimi tempi aveva già detto e cioè che investimenti per riconversioni e diversificazioni lui non può e non vuol farne. Nel frattempo il sindacato scopre sul Web di suoi cospicui investimenti ( 1 milione di euro per 5 puledri ) nel settore ippico di cui è appassionato e… l’indignazione sale alle stelle !
Sembra concretizzarsi così lo scenario da sempre ipotizzato da lavoratori, rsu e sindacato riguardo il vero “movente” sotteso all’acquisto di Leuci e cioè lo “ sfruttamento” del prestigioso marchio e dell’italianità a fini d’esclusiva importazione di prodotti da commercializzare ed il business immobiliare su un’appetibile area urbanistica “liberandola” attraverso un graduale “mascherato” svuotamento dall’attività manifatturiera. Il resto è una storia ancora da scrivere ed i lavoratori faranno di tutto per poterla ancora vivere da protagonisti”.
I lavoratori hanno deciso di scrivere anche al proprietario Giuliano Pisati. Ecco la lettera aperta.
“Come dipendenti della LEUCI sappiamo che a lei piace parlar chiaro, quindi ci capirà sicuramente.
Le rivolgiamo pubblicamente questo nostro appello perché non vorremmo doverla disturbare a Buccinasco oppure a Milano in piazza cinque giornate.
Noi non le chiediamo di fare il “missionario”, come ci risulta lei vada dicendo di non voler essere, ma semplicemente di dare il giusto peso anche alle persone e non solo alla cosiddetta massimizzazione dei profitti (ad ogni costo…)
Quindi responsabilmente le chiediamo di lavorare congiuntamente per consolidare le basi di una effettiva continuità produttiva italiana.
Starà a lei essere visto e ricordato o come “approfittatore” dei mercati a scapito delle persone od assicurarsi il rispetto perlomeno di un intero territorio provando seriamente a coniugare la giusta esigenza di profitto con l’altrettanto importante funzione di mantenere i posti di lavoro.
Noi avendo il massimo rispetto di quest’ultimo tipo d’imprenditoria saremmo, come sempre, disponibili a fare fino in fondo la nostra parte.
In caso contrario noi non potremo non alzare ulteriormente il tiro del coinvolgimento del nostro territorio arrivando anche al livello mediatico nazionale, oltre quello regionale già raggiunto.
Anche in quel contesto non potrebbe non emergere, perlomeno come fondata e dimostrabilissima l’ipotesi del movente speculativo della recente vostra acquisizione di LEUCI sia come “sfruttamento” del marchio e dell’italianità a fini d’esclusiva importazione di prodotti da commercializzare che del business immobiliare su una appetibile area urbanistica “liberandola” attraverso un graduale svuotamento “forzoso” dell’attività aziendale.
Comunque noi speriamo possa prevalere il buon senso e la responsabilità sociale a partire dal ripensamento sulla drastica ed ulteriore riduzione di personale preannunciata ( da 130 a 30 dipendenti ) che rappresenta per noi , nei fatti, una vera e propria chiusura.
Troviamo insieme il modo per uscire da questa situazione con dignità ed intelligenza.
A volte , nelle situazioni più delicate, un po’ di coraggio ed un dialogo diretto, se ben compresi, possono fare la differenza.
Aspettiamo una sua prima pronta e fattiva risposta fermando i tagli annunciati”.
Ed infine una lettera dal mondo del lavoro, datata ottobre di quest’anno a cura ancora dei lavoratori della Leuci. Ecco il testo integrale.
I mezzi ed i fini : Quali i valori di riferimento ?
“Siamo lavoratori della Leuci, una delle fabbriche più importanti rimaste nel nostro territorio, che sta vivendo, come è noto, uno dei momenti più delicati della propria pluriennale storia.
Con questa lettera-denuncia non ci preme tanto informare ulteriormente sulla nostra intricata situazione, già vari strumenti e contesti lo stanno facendo, quanto esprimere pubblicamente alcune riflessioni e sollevare qualche interrogativo che possa aprire uno spazio di confronto su alcune questioni di carattere più generale che però inficiano quotidianamente le nostre vite a partire da quella lavorativa.
Speriamo che ci sarà concesso uno spazio adeguato anche se spesso sulla stampa sia locale che nazionale vengono ospitati solo interventi e contributi dei presunti “addetti ai lavori”, di opinion-makers, cioè di chi si ritiene possa essere titolato ed elargire concetti o analisi autorevoli .
Speriamo che questo non voglia dire escludere chi, da persona comune e quindi da non “specialista”, cerca di mantenere un proprio senso critico sulle questioni importanti che ci ruotano attorno.
La domanda di fondo che ci poniamo e poniamo a tutti è : Quali sono oggi i valori di riferimento nel vasto mondo del lavoro ? Quali i principi ed i fattori reali che contano ? Qual’è la mentalità “normale” che si respira ?
Prendiamo spunto da un articolo comparso sulla stampa locale qualche tempo fa che parlando della nostra situazione citava letteralmente : “ … E’ la spietata legge della globalizzazione. La’ in Africa e nell’Europa, costa tutto molto meno e se la qualità è garantita perché non andarci ? I conti devono tornare… La nuova proprietà non è lecchese, e guarda prima di tutto ai suoi interessi, come biasimarla ? se non sarà più conveniente produrre qui, se ne andrà, semplice e scontato, Lecco perderà un’altra sua pietra miliare della sua era industriale, e lì che ci faranno ? resterà produttiva ?
il sindaco Antonella Faggi apre anche ad altre soluzioni ….”
Ci chiediamo : è normale tutto questo ? E’ veramente così ineluttabile e soprattutto veramente non biasimevole visto anche che la nostra azienda è si in sofferenza ma sarebbe tutt’altro che destinata a spegnersi, solo che li si volesse realmente ?
Ritorniamo col pensiero alla nostra Costituzione che abbiamo da poco difeso da una smaniosa voglia di presunta modernità ed da un libricino per studenti universitari leggo : “ Art.1 : L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro “ ; nelle note alla voce lavoro c’è scritto : “ valore fondamentale che qualifica la forma di Stato e che impone il perseguimento di una politica di difesa sociale attraverso la promozione e la tutela di ogni attività lavorativa “ ; come nell’introduzione al titolo III che regola i rapporti economici si legge : “….I rapporti di lavoro e di produzione non sono stati dal costituente abbandonati al libero gioco del mercato, in quanto la Costituzione impone allo Stato di assicurare il rispetto della libertà, della sicurezza e della dignità umana e la piena realizzazione del diritto al lavoro “.
“Art.35 : la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni…”
“Art.41 : L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale od in modo di recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana….”; nelle note trovo :
“Utilità sociale : ogni attività privata, sebbene finalizzata al perseguimento di un profitto personale, non può identificarsi con l’interesse esclusivo dell’imprenditore, ma deve realizzare , seppure indirettamente, interessi della società nel suo complesso. Nel disegno del legislatore costituente, lo sviluppo economico non è un fine, ma un mezzo per la realizzazione dei valori fondamentali della persona e dei doveri di solidarietà sociale. “
“Art.42 : La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. “; nelle note si legge : “ Funzione sociale : Il diritto di proprietà deve soddisfare contestualmente l’interesse individuale del suo titolare e l’interesse della collettività, con il quale l’esercizio del diritto potrebbe entrare in conflitto, in tal caso fra l’interesse privato e quello sociale, è quest’ultimo a prevalere.”
In definitiva ne conseguirebbe , sia per la norma che per lo spirito della nostra Costituzione, che occorre ricordarlo sempre, è la Magna Charta della nostra convivenza civile, che l’imprenditoria è legittimata pienamente non unicamente “pro-domo sua“ ( interesse privato ) ma in quanto anche finalizzata a scopi sociali ( posti di lavoro ).
Perciò se l’imprenditore prescindesse dai fini sociali, non sarebbe più legittimato socialmente anzi, se fosse solo mosso da intenzioni speculative particolari ( ad esempio lo “sfruttamento“ di marchi produttivi italiani per commercializzare sostanzialmente prodotti d’importazione oppure “svuotare” aziende per fare business immobiliare sulle aree dimesse …ecc., ecc…) finirebbe col diventare un vero e proprio “parassita sociale” e quindi andrebbe, Costituzione alla mano, contrastato sia dallo Stato che dalla Società Civile ( compreso il mondo dell’informazione ).
Coerentemente nessun uomo o donna delle Istituzioni dovrebbe “fare da sponda” a simili ipotesi ma semmai scoraggiarle apertamente proprio in ragione dello specifico ruolo statuale.
Così pure per la Chiesa in ragione della propria costante Dottrina Sociale. Dall’ Enciclica “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II ( p.12 dell’ Introduzione : Priorità del Lavoro ) : …si deve prima di tutto ricordare un principio sempre insegnato dalla Chiesa. Questo è il principio della priorità del “lavoro” nei confronti del “capitale”… “.
Anche un Sindacato che, magari inconsciamente o per eccesso di senso di realismo, finisse con l’assuefarsi a svolgere in sostanza solo una funzione lenitiva o di gestione della riduzione del danno,
rischierebbe di snaturare la propria funzione sociale.
Altra cosa sarebbe di un imprenditore che s’impegnasse realmente a fondo, anche e soprattutto in un contesto difficile di mercato, a coniugare giuste esigenze di profitto con l’altrettanto irrinunciabile funzione sociale d’impresa ( dare posti di lavoro ). A quest’ultimo non potrebbe non andare la stima e la riconoscenza di tutti.
Purtroppo però sempre più spesso stiamo assistendo ad uno stravolgimento dei valori fondanti non solo del mondo del lavoro ma anche della nostra convivenza civile che vede la Persona essere sempre più ridotta al servizio della cosiddetta economia di mercato piuttosto che il contrario, come dovrebbe essere in un normale sistema sociale che ponga realmente “al centro” l’Uomo.
L’aspetto particolarmente grave è che tutto questo “scivola via” sottosilenzio, anzi spesso è considerato normale, scontato, ci si è fatta l’abitudine quasi che fosse ineluttabile.
E’ vero la penuria, se non addirittura l’assenza, di strumenti normativi e contrattuali ( alla Politica ed al Sindacato dare risposte tutelative concrete ) rende enormemente complicato l’opporsi a questa cultura della massimizzazione dei profitti anche a scapito dell’Uomo, con l’aggravante di un sistema legislativo che sostanzialmente pone pochissimi argini a comportamenti antisociali.
Ma è proprio così vero che non si possa concretamente andare oltre la riduzione del danno ricorrendo in sostanza ai soli cosiddetti ammortizzatori sociali, pur a volte necessari ?
Perché non sarebbe invece possibile, Costituzione e Dottrina Sociale della Chiesa alla mano, costruire una virtuosa convergenza d’azione, un vero e proprio “cordone sociale” protettivo, per scoraggiare questi eventuali comportamenti speculativi che pretestuosamente pretenderebbero di trovare giustificazione nell’ “assolutismo economico” ????
Ad ognuno di noi contribuire a costruire risposte concrete in altrettanto concrete situazioni !!!!”.
Ci vediamo giovedì mattina.
Qui Lecco Libera
Pieno è anche il nostro appoggio alla manifestazione dei lavortaori Leuci.
Sosteniamo la protesta di questi operai ed operaie, così come quella di chi lavora da anni alla Style pack di Olginate, e ora chiede a gran voce DIGNITA’ E LAVORO.
Pisati rappresenta il simbolo del capitalismo piratesco nostrano, mentre nessun euro è stato speso per cercare di salvare la fabbrica da una progressiva chiusura, non vi sono accenni di investimenti o tentativi di differenziare o sviluppare la propria produzione, solo un milione di euro spesi per acquistare cinque cavalli; evidentemente l’ippica è più importante di 100 famiglie!!!
E’ fondamentale ragionare sull’importanza di una funzione sociale del “datore di lavoro” che qui, come spesso avviene, viene a mancare.
Ad Olginate i lavoratori e le lavoratrici non ricevono uno stipendio da mesi.
Grande è la lotta degli operai di questa fabbrica, di dimensioni inferiori rispetto la Leuci; con un presidio permanente fuori dalla propria azienda stanno cercando di spingere per una trattativa che non sia unilaterale, ma che tuteli anche gli interessi di chi, con il sudore, ha contribuito a portare avanti la produzione e gli ingressi di profitti padronali per anni.
In tempi di crisi si chiedono agli operai sacrifici, si chiede di capire la mancanza di disponiblità di denaro, gli si chiede di lavorare gratuitamente “aspettando tempi migliori”, una sorta di volontariato.
Non mi sembra che durante momenti migliori, dove le rendite del padrone sono state elevate, chi lavorava sia stato pagato maggiormente o abbia goduto di qualche beneficio per la maggiore produzione.
Occorre monitorare attentamente la situazione, seguire gli sviluppi futuri e non esitare nel sostenere ed affiancare nella lotta gli operai lecchesi, cercando di poter essere utili, TUTTI INSIEME, nel nostro piccolo (volantinaggio nei quartieri della città, sostegno economico e\o attrezzature, solidarietà e vicinanza).
BUONA LOTTA!
Giovani comunisti