Dopo il Critical Mass
Nonostante il caldo appiccicoso, un manipolo compatto di cittadini incaponiti ha pedalato ieri per le strade di una deserta città. Chiedere meno automobili quando si percorrono vie sgombre è quasi un paradosso. Qualche segno di vita l’ha battuto il Lungolago, attraversato dal rituale serpentone domenicale concentrato sulle bancarelle. Al nostro passaggio, il serpentone si è quasi parallizzato. Noi ci siamo fatti sentire e certamente non siamo passati inosservati, per carità, però è sempre una sorpresa notare lo stupore dipinto sui volti della routine. Biciclette che chiedono mobilità sostenibile? Un evento sovrannaturale.
A proposito di bilanci. Quel che è certo è che aver organizzato un Critical Mass nelle torride domeniche di luglio, nel primo pomeriggio, s’è rivelata una scelta azzardata. C’è chi sostiene che la non entusiasmante partecipazione sia da addebitare al caldo e alla sostanziale indifferenza di questa “città morta”. In parte è vero, ma sono dell’idea che non ci si possa sempre parare dietro a comodi alibi. E’ necessario cercare e possibilmente trovare al più presto la leva migliore per stimolare di nuovo l’entusiasmo verso questi temi e verso questo tipo di iniziative. Per ragioni anagrafiche penso al blocco “meno maturo” del nostro territorio; bisogna far capire che un conto è l’adesione virtuale su Facebook, un altro è l’attiva partecipazione, sporcandosi le dita consumate dalla tastiera. “Se non ti occupi di loro, loro si occuperanno comunque di te”. Rifletto anche su una parte del blocco “meno acerbo”, ripensando a volti conosciuti che col tempo hanno abbandonato il sellino e la strada perché intimoriti, stanchi, indolenti, diffidenti o più semplicemente lontani. A loro rivolgo un appello disinteressato: le lotte si portano avanti con passione e con coerenza. Se questa è ritenuta una scomoda “aggressività”, allora ci si confronti sul perché – qualche mese fa – questa “utopia” veniva stimolata e accolta.
Da quando in città è amministrativamente “cambiata l’aria”, dopo le elezioni del marzo scorso, è in atto una strana forma di ultra-moderazione delle istanze, come se, nel giro di due mesi, battaglie “sacrosante” fossero di colpo avvertite come un po’ troppo spinte, quasi indelicate, rivoluzionarie e politicamente scomode. In questo progressivo scemare dell’impegno di una parte della “società civile” lecchese, credo che gli Amministratori non abbiano responsabilità. Sarebbe troppo comodo imputare ai soliti le colpe. E’ un fatto che attiene strettamente ad una parte del “movimento”, se così possiamo definirlo.
E’ il solito punto politico della delega. Chi non delega in bianco e preferisce vigilare piuttosto che dormire e/o fingere di vigilare facendosi suggerire come, è materialmente sentito come una spina da levare, da disincentivare, da isolare. Chi, al contrario, scarica gli oneri una volta contate le schede, si auto-definisce “lungimirante”. Credo che questo insanabile dissidio vada affrontato con lucidità, altrimenti lo status quo avrà, putroppo, la strada sgombra e spianata.
Duccio Facchini