Processo “Infinito-Tenacia”: si entra nel vivo
Venerdì 23 settembre, dopo un’interminabile sequenza di udienze procedurali, è finalmente entrato nel vivo il maxi processo di ‘ndrangheta che ha preso avvio dall’operazione “Infinito-Tenacia” (300 arresti di cui 180 circa in Lombardia lo scorso 13 luglio 2010). Tra gli imputati ricorsi al rito ordinario c’è l’impresario lecchese Ivano Perego, accusato d’aver spalancato le porte della sua azienda ai “cristiani” malavitosi e aver concluso ottimi affari (per lui, non per i lavoratori del suo gruppo). Il primo testimone (sono ben 200 quelli indicati dall’accusa, il Pubblico Ministero Alessandra Dolci) è stato il Colonnello dei Carabinieri Roberto Fabiani, coordinatore del nucleo investigativo della Compagnia di Monza. Ascoltato in qualità di supervisore delle attività di indagine nonché partecipe di alcune delle operazioni (appostamenti, servizi esterni, attività intercettive), il Colonnello Fabiani ha ricostruito i primi passi dell’inchiesta. “Durante un’intercettazione ambientale del novembre 2007 (rivolta ad un altro filone, nda) abbiamo capito che si stava delineando un’evoluzione. La ‘ndrangheta”, ha affermato il Carabiniere, “cambiava pelle. Da una struttura federativa ad una verticistica. Dinanzi a tale trasformazione era necessaria un’analisi: da lì siamo partiti”. All’anno zero di “Infinito-Tenacia” ci sarebbe infatti una conversazione a bordo di un’auto noleggiata da tal Minasi in occasione dei funerali di Pasquale Barbaro, scomparso proprio nel novembre 2007. “Era un’altra cosa”, ha sottolineato l’Ufficiale riferendosi al mutamento della ‘ndrangheta. In quattro anni di indagini gli inquirenti e le forze dell’ordine hanno accumulato qualcosa come 25mila ore di intercettazioni telefoniche, 20mila di ambientali (soprattutto su automobili) e 64mila ore frutto di servizi esterni. “Avevamo raccolto una mole di materiale enorme”, ha riassunto Fabiani. Una “montagna” di atti e documenti che ha permesso di tratteggiare i lineamenti di un’organizzazione che “ha di fatto colonizzato il territorio lombardo”. Quindici “locali”, ovvero ‘ndrine, sul territorio della Regione. Tra Pioltello, Bresso, Corsico fino ad Erba e Canzo (le più vicine al lecchese). Centinaia di “accoscati” (affiliati) suddivisi per gradi (o “doti”). C’era il “trequartino”, il “santista”, il “camorrista”, il “picciotto”, il “conte Ugolino”, la “stella”, il “bartolo”. Questi ultimi due “livelli” li aveva creati – secondo la ricostruzione del Colonnello – proprio Carmelo Novella detto il “secessionista”. “Il progetto rivoluzionario di Novella”, ha raccontato Fabiani, “era quello di staccare la “Lombardia” (organizzazione ‘ndranghetista nostrana) dalla “Provincia” radicata in Calabria”. Ambizione pagata cara: Novella fu infatti eliminato (“La Provincia l’ha licenziato”, si legge in una trascrizione) nel luglio 2008, in un bar di San Vittore Olona, da due killer a volto scoperto. Durante la ricostruzione fornita da Fabiani, Ivano Perego – leggermente dimagrito rispetto a luglio – è apparso disinteressato. “Queste vicende non ci riguardano, che c’entra quel disperato (Perego, nda)?!”, s’è lamentato Marcello Elia, legale difensore dell’ex patron della “Perego Strade”. La prossima udienza è fissata per giovedì 29 settembre, quando sarà sentito un altro ufficiale dei Carabinieri. A tal proposito Fabiani, per sdrammatizzare, s’è permesso una battuta: “E’ vero, saremo anche Carabinieri, però le indagini sappiamo farle anche noi…”.
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