“Wall Street”: nemmeno la decenza di un bando
Dopo 16 anni di silenzio ed abbandono la pizzeria “Wall Street”, emblema della presenza mafiosa sul territorio, smetterà i panni dello scantinato per diventare “pizzeria della legalità”. Una strada, quella della restituzione alla collettività dei beni confiscati, tracciata (anche, ma non solo) dalle 2.390 firme che raccogliemmo due anni or sono contro la scadente soluzione di deposito della Prefettura. I protagonisti del diniego, in primis l’amministrazione comunale, gioiscono oggi per una soluzione soddisfacente a metà. Leggiamo dal comunicato stampa, celebrativo e scarsamente fedele alla realtà dei fatti, che oggi (ieri, mercoledì 11 aprile) nel corso di un incontro sconosciuto alla cittadinanza, “l’Associazione Libera ha illustrato un’ipotesi progettuale per una nuova destinazione dell’immobile ex pizzeria “Wall Street”, che prevede la realizzazione di una “pizzeria della legalità” da destinare anche a centro per la promozione della cultura antimafia e la diffusione dei prodotti provenienti dalle terre confiscate. Tale ipotesi è maturata sulla base di contatti informali nel corso dei quali sia la Prefettura che il Comune avevano manifestato l’intento condiviso di percorrere il necessario iter procedurale per la valutazione della proposta, finalizzato alla sua eventuale realizzazione”. Evviva, verrebbe da dire. Sedici anni per partorire un’ipotesi “maturata sulla base di contatti informali”.
Un patto d’onore “informale” (assurdo, gravissimo, chi ha parlato con chi, sulla base di quale coinvolgimento, quale progetto, quali interessi, quali esperienze?!) tra ex sostenitori dell’archivio (“ristrutturare Wall Street costa circa un milione di Euro”, favoleggiava qualcuno) e non ben conosciuti brand mai realmente esistiti sul territorio. Un’altra operazione mediatica che sarà difficile smontare, vista la retorica che caratterizza il tutto.
Nemmeno la decenza di fare un bando trasparente e aperto alla Città. Non si chiedeva la luna.
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