‘Ndrangheta a Lecco, il ruolo dell’agente di Polizia Valsecchi
Il 3 giugno sono state depositate le motivazioni della sentenza di primo grado del processo Infinito, lo stesso che ha investito la Brianza imprenditoriale rappresentata in quell’occasione dalla Perego, storica azienda del territorio consegnata, dai consapevoli vertici -su tutti, Ivano Perego-, alla ‘ndrangheta. Pochi giorni dopo gli arresti (luglio 2010), pubblicammo su questo sito alcuni estratti dell’ordinanza di custodia cautelare riguardanti tra gli altri un agente della polizia stradale di Lecco, l’ispettore Alberto Valsecchi. L’interessato, pur non essendo indagato, era stato indicato dagli inquirenti come un appartenente a quella “zona grigia” dove “scambi e favori con soggetti istituzionali […], se pure con contributi apparentemente minimi rispetto a ciascuna specifica vicenda, alimenta la complessiva capacità della organizzazione di percorrere strade in grado di procurare illeciti vantaggi su ogni piano”. Gli “scambi e favori” prevedevano infatti che il poliziotto (la guardia) si preoccupasse di sanare le contravvenzioni contestate ai mezzi dell’azienda di Ivano Perego, e l’impresario (il ladro) agisse su un non ben precisato elemento politico per assicurargli la promozione (a Valsecchi) presso la neonata Polizia di Monza e Brianza.
Contestammo pubblicamente questo comportamento, chiedendo provvedimenti. Ci rispose, accusandoci di aver partecipato allo “stupro” del povero Valsecchi, l’allora segretario provinciale del sindacato di polizia Coisp, Gaspare Liuzza, oggi divenuto addirittura segretario regionale. Una presa di posizione corporativa, com’è prassi. Non solo. Un anno più tardi, Valsecchi fu premiato con due lodi, e lo stesso Liuzza non volle farsi sfuggire l’occasione di chiedere pubblicamente il “mea culpa” dei vili accusatori (cioè gli inquirenti che avevano riportato il caso, penalmente irrilevante ma professionalmente squalificante).
Nel gennaio di quest’anno siamo tornati sul tema a seguito delle pesanti conclusioni della Relazione conclusiva sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in Lombardia messa a punto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta ad hoc. Anche in quella sede, l’agente Valsecchi ne usciva in maniera assai discutibile. Ma ancora una volta, e i commenti a quell’articolo lo dimostrano, il segretario regionale del Coisp difendeva a spada tratta il poliziotto.
Oggi possiamo dire che le motivazioni della sentenza di primo grado del processo Infinito non fanno che confermare, dandoci ragione, le responsabilità professionali enormi che ha l’ispettore Alberto Valsecchi.
Prima di tutto è confermato che il rapporto emerso da due telefonate (12 e 13 giugno 2009) tra Ivano Perego e Alberto Valsecchi è “improntato ad uno scambio di favori”. E il perché è spiegato dagli stessi magistrati:
“Nel corso della prima telefonata, infatti, Valsecchi manifesta a Perego l’aspirazione ad ottenere un incarico dirigenziale nella costituenda Forza di Polizia della Provincia di Monza e invita Perego a fornirgli sostegno politico. L’interlocutore, dunque, non esita a menzionare l’Antonio (Oliverio) conosciuto da entrambi come persona in grado di assicurare il supporto necessario (progr. 17572, perizia Baldo). A sua volta, Valsecchi si rende disponibile a risolvere una vicenda correlata al sequestro di due escavatori della Perego, e di cui è già stato informato da Claudio, fratello di Ivano. Valsecchi riferisce, altresì, di avere appreso dai colleghi di Milano che è stato ivi aperto un procedimento e che si intende procedere con l’interrogatorio. Spiega anche di essere riuscito ad ottenere una delega al fine di poter procedere lui stesso all’incombente. Perego, dal conto suo, si informerà su come muoversi e Valsecchi lo invita a presentarsi da lui, insieme all’avvocato, per il giorno successivo alle ore 16.00 per poterne parlare di persona. Va, infine, rilevato che, il 9 aprile 2009, allorquando Perego, Pavone, Vanzulli e Cega si erano recati in Sardegna, sull’isola di Sant’Antioco a visionare l’immobile di proprietà di Peonia Rosa, era stato predisposto, su impulso del Reparto Anticrimine dei Carabinieri di Milano, da parte della Sezione Anticrimine di Cagliari un servizio di osservazione ( cfr. deposizione Pasquali, udienza del 14 febbraio 2012) I pedinati, accortisi che due veicoli li stavano seguendo, si erano allarmati: Perego aveva, quindi, rilevato il numero di targa di uno di essi e lo aveva fornito al fratello Claudio perché lo facesse controllare; nel frattempo, aveva chiesto a Pavone se avesse a sua volta rilevato il numero di targa dell’altra autovettura intercettata, informandolo che stava procedendo a chiamare la Questura di Lecco, con l’intenzione di risalire agli intestatari dei veicoli, e che avrebbe poi discusso di ciò con Strangio ( progr. 5092, 5093, 5094 perizia Baldo). All’interno della Questura di Lecco, la persona indicata anche come “amico” del fratello “Claudio”, in grado di fornire le informazioni richieste, era del tutto verosimilmente l’ispettore Alberto Valsecchi“.
E ancora, parlando di Ivano Perego:
“Perego si pone pure come anello di congiunzione con un mondo politico e istituzionale che accetta regalie in cambio di favori (si pensi, ad esempio, ai rapporti intrattenuti da lui e dai correi con Oliverio, Ponzoni, Santomauro, Valsecchi, Nardini, il colonnello Romeo)”.
E infine, in maniera assai più pesante dell’ordinanza di custodia cautelare:
“Infine, va ripreso uno dei capitoli più dolorosi del processo, riferito a quei componenti delle forze dell’ordine che, in palese spregio del giuramento di fedeltà allo Stato, hanno intrattenuto rapporti illeciti con i componenti dell’associazione mafiosa in esame. […] Ma sono anche stati oggetto di analisi i rapporti di Strangio Salvatore con il colonnello in pensione Romeo Giuseppe e con l’ispettore della Polizia Stradale di Lecco Alberto Valsecchi, in relazione alla necessità di evitare i controlli sui camion della Perego”.
Chi è in buona fede capisce subito che trincerarsi dietro alla sfera della “rilevanza penale” rispetto a comportamenti come questi è francamente insopportabile. Qui siamo in presenza di una condotta gravissima, dove la guardia assicura favori al ladro in cambio di una promozione, di una regalia. Un baratto che la Questura di Lecco non sembra voler sanzionare, dato che elargisce medaglie e lodi pur di proteggere se stessa e i suoi agenti. Confidiamo che i pesanti giudizi espressi in sentenza aiutino anche i più cauti.
Qui Lecco Libera