Metastasi, le motivazioni della “prima” sentenza
Il 7 agosto 2015 sono state depositate le motivazioni della “prima” sentenza nell’ambito dell’inchiesta Metastasi (giudice Roberto Arnaldi). Chissà se coloro che nell’aprile scorso ebbero la sfacciataggine di festeggiare al buio la “semplice” associazione a delinquere troveranno oggi la forza di confrontarsi con quanto emerge dalle 228 pagine che riguardano gli imputati Ernesto Palermo (ex consigliere comunale Pd) (6 anni e 8 mesi), Claudio Bongarzone (tre anni e quattro mesi) e Alessandro Nania (quattro anni e dieci mesi).
Del contenuto della sentenza ha scritto Fabio Abati de Il Fatto Quotidiano. Con il documento integrale davanti facciamo solo qualche breve accenno aggiuntivo, in attesa di ulteriori approfondimenti.
Nelle motivazioni, il giudice Arnaldi spiega in maniera articolata perché, dal suo punto di vista, non sussiste l’associazione mafiosa -ipotesi che per il giudice “traeva linfa soprattutto dall’essere Mario Trovato collegato ad un sodalizio criminale di rilevante spessore, giacché viene riconosciuto nel contesto sociale del lecchese per la appartenenza alla omonima famiglia ed in virtù dei legami familiari con il fratello Franco Trovato, soggetto pluripregiudicato e legato alla ‘ndrangheta”-. Non ritrovando le caratteristiche dell’associazione mafiosa, però, Arnaldi dipinge al tempo stesso un quadro che dovrebbe suscitare tutto fuorché il buon umore -e lo diciamo con l’articolo 27 della Costituzione ben chiaro in mente-.
Se è vero che “non è mai emerso che sia stata esercitata una forza di pressione e persuasione riconducibile all’appartenenza di chi ha realizzato la minaccia ad un gruppo mafioso” (pag. 10) è altresì emerso “il profilo di un’associazione per delinquere “ordinaria” ove le singole condotte rappresentano il frutto di consapevoli accordi strutturati nati nell’ottica di perseguimento di un indeterminato progetto criminoso”.
“Una attenta disamina degli episodi poste all’attenzione del giudicante […] non consente di cristallizzare la inequivocabile sussistenza di quella trasparente ‘fama criminale’ consolidatasi nel tempo’ da parte della ipotizzata associazione, richiesta per l’integrazione della condizione del metodo mafioso, né si palesa lo sfruttamento dell’aura di intimidazione già conseguita dal sodalizio”, ancora. Sarebbero mancati poi “la segretezza del vincolo, i rapporti di comparaggio o di comparatico fra gli adepti, il rispetto assoluto del vincolo gerarchico, l’accollo delle spese di giustizia da parte della cosca, il diffuso clima di omertà, l’assoggettamento alla consorteria, la distribuzione e ricezione di doti, la “presentazione rituale” come momento significante ed essenziale dei rapporti fra partecipi, l’organizzazione e la partecipazione ai summit, i collegamenti con le altre locali che formano la “Lombardia””.
Quella di Palermo & C., secondo Arnaldi, sarebbe stata una “sorta di “comitato d’affari” che cercava di influenzare la vita pubblica del lecchese”. Continuiamo a domandarci perché il sindaco della città di Lecco (dell’epoca, estate 2011, e attuale) abbia potuto relazionarsi con la combriccola in esame, “mitigando” (come dice lui) anche a proposito di cifre risarcitorie potenziali dopo l’inghippo della Lido di Paré.
Infine, a proposito del Comune di Lecco e della sua costituzione di parte civile nel processo. Arnaldi scrive: “con riguardo alla costituzione di parte civile richiesta dal Comune di Lecco, deve osservarsi come la stessa appaia del tutto legittima poiché diretta a tutelare un danno di immagine ricollegabile alla operatività dell’associazione criminosa nell’ambito territoriale, anche in relazione al clamore medianico che la stessa ha indubbiamente suscitato […]. Orbene, all’esito della discussione orale giova rilevare come, al di là della fondatezza dell’an, con riferimento al quantum nessun elemento è stato portato dalla costituita parte civile per sostanziare precisamente il danno subito. Ne consegue l’impossibilità sia di liquidare il danno in questa sede sia di assegnare una provvisionale immediatamente esecutiva, in assenza di fattori che ne consentano di tracciarne gli immediati contorni” (pag. 226).
A chi legge le prime conclusioni.
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