I beni confiscati alla ‘ndrangheta lecchese
C’è una contraddizione di fondo per quanto riguarda la questione dei beni confiscati alla ‘Ndrangheta nel nostro territorio. Da un lato si promette e si professa “trasparenza”, dall’altro si pratica l’opposto. Partiamo dal presupposto che nessuno stia mettendo in discussione la buona fede delle Istituzioni coinvolte. Anzi: proprio perché non siamo prevenuti, vogliamo contribuire a fare chiarezza. Quando si parla di mafia, del suo potere economico e delle sue proprietà, è necessario lavorare insieme alla luce del sole e senza fini polemici.
Andando in ordine cronologico è bene partire da un documento ufficiale della Prefettura di Lecco. Le due pagine di seguito risalgono all’incirca alla prima metà del 2008. Come si può vedere, l’atto non è firmato e non riporta nemmeno la data di stesura. E’ probabilmente un modello prestampato e rilasciato senza troppa attenzione. Gli omissis che trovate in traccia bianca non hanno coperto nulla di importante salvo qualche appunto personale. Secondo questo primo documento in nostro possesso, la “situazione della provincia di Lecco” in materia di “procedimenti di assegnazione” si presentava alquanto rosea. Dodici soltanto i beni confiscati soggetti alla procedura. Più della metà addirittura “già assegnati”. I restanti quattro restavano al palo a causa di “ipoteche gravose”.
Soffermiamoci con attenzione su ciascun immobile riportato all’interno del documento (le due pagine sopra allegate). Nella città di Lecco risultano cinque beni. Il primo, “assegnato”, è sito in via Baracca. Punto. La storia di questo appartamento porta direttamente a Rolando Coco, fratello del boss Franco Trovato, coinvolto e poi assolto nel processo “Wall Street”. Secondo gli atti processuali, quest’ultimo “acquistò il 31.5.86 un appartamento sito in comune di Lecco,
via Baracca 14/a al prezzo di 32 milioni di lire e lo rivendette il 28.4.88 al prezzo di 35 milioni di lire”. Il secondo immobile, che si trova in via Capodistria, formalmente “assegnato”, non è rintracciabile all’interno degli atti relativi al processo “Wall Street”. Il terzo, ovvero il celebre appartamento di via Adamello 38, sopra l’allora “Bar Sun City”, risultava nel recente ’08 “non assegnato” perché “gravato da ipoteche talmente elevate da non rendere vantaggiosa l’acquisizione al patrimonio dello Stato”. Anche questo immobile era di proprietà di Rolando Coco, autore in quel periodo di “alcuni consistenti investimenti immobiliari”, tra i quali, per l’appunto, quello del 1989 per l’appartamento: 89 milioni di vecchie lire. Detto questo, la Corte definì l’attivismo del fratello del super-boss con queste parole inequivocabili: “Si tratta di una situazione finanziaria che pur suscitando sospetti per l’entità degli investimenti compiuti da Coco [Rolando, nda], non è necessariamente ricollegata all’investimento da parte sua di proventi illeciti”. Il quarto bene non può che essere la ex pizzeria “Wall Street” di via Belfiore 1, intestata allora alla moglie del boss, Eustina Musolino. Secondo la Prefettura era “assegnato” al Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco. Non si capisce il perché, dal momento che, già da quattro anni, i Vigili del Fuoco avevano per tempo informato gli Enti preposti della loro repentina retromarcia. Nel 2008 quell’immobile era abbandonato. L’ultima proprietà immobiliare sottratta alle cosche della nostra città risulta essere “Il Giglio” (indovinate un po’ chi era il proprietario? Rolando Coco), la pizzeria di via Ghislanzoni di cui tanto s’è parlato in questi ultimi giorni. Stando al documento ufficiale della Prefettura, appena due anni fa quel bene risultava “non assegnato” perché gravato da un’ipoteca di “un miliardo iscritta nel 1991”.
Proseguiamo. Comune di Galbiate: due immobili oggetto di confisca ed entrambi assegnati. Il primo, quello in località Sant’Alessandro, era un fabbricato di proprietà di Mario Trovato – altro fratello di Franco Trovato – e di sua moglie Ida Scalzi. Il secondo, quello di via Caduti di via Fani, era una villetta di proprietà di Maria Sacco, moglie di Vincenzo Musolino – mente finanziaria per i traffici della cosca.
Comune di Ballabio. L’unico immobile confiscato, per l’esattezza un’autorimessa, in via Provinciale 106, figura “assegnato” al Comune stesso.
Comune di Calco. Nel 1997 la Corte di Appello di Milano revocò la confisca che gravava su una villetta a schiera di via Nuova Provinciale 14. Era stato infatti commesso un errore materiale di identificazione che la Prefettura, nel 2008, s’era ripromessa di risolvere in tempi brevi.
Comune di Airuno. La ex pizzeria “Il Portico”, detta anche “la fortezza” del clan, nel ’97 è stata assegnata alla Guardia di Finanza.
Comune di Olginate. Secondo il documento della Prefettura, risulta esserci un immobile composto da due appartamenti in via Ronco Praderigo. Il bene non figura assegnato poiché gravato da ipoteche. Secondo gli atti processuali di “Wall Street”, in via Ronco Praderigo ad Olginate, in quegli anni, era residente Salvatore (detto “Salvo”) Marinaro con la società C.M.B. Srl attiva dal ’91 nell’ambito della ristorazione. Inoltre, all’altezza di via Spluga, al 2008 veniva censito un immobile “assegnato” nel 1998 ad utilizzi della Polizia di Stato.
Il senso di questo sommario elenco è questo: secondo le due pagine che abbiamo riportato e chiarito (ove possibile), i beni confiscati – assegnati e non assegnati – nel territorio della provincia di Lecco erano in tutto dodici. Otto assegnati e quattro no. Facciamo ora un balzo in avanti. Arriviamo a meno di due mesi fa. Siamo riusciti a procurarci un documento della Prefettura di Lecco, autrice del precedente, che in parte riscrive l’atto di due anni fa. Compaiono Comuni che fino a poco tempo prima non rientravano ufficialmente nell’elenco dei luoghi interessati dalla presenza di proprietà confiscate alla ‘ndrangheta. Casatenovo, Valmadrera, Cesana Brianza, Colico, Costa Masnaga, Torre de Busi. Possibile che nel giro di due anni si sia passati da dodici beni confiscati (assegnati e non) a più di quindici?
Probabile, se non fosse per la stima che il CNEL ha formulato all’interno del suo Rapporto “L’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia di alcune regioni del Nord Italia”. Alla voce “Beni confiscati nelle province della Lombardia al 31/12/2008”, ecco l’ennesima cifra sballata. Da dodici a ventisette. La provincia di Lecco è quarta, a parimerito con Como, dopo Milano (403), Brescia (64), Sondrio (37). Proseguendo alla voce “Aziende confiscate nelle province della regione Lombardia al 31/12/2008”, ecco che il nostro territorio si fa largo. Secondi soltanto a Milano. 112 per il capoluogo, 19 per la nostra zona, mentre Brescia arranca a quota 11. Stando al Rapporto del CNEL, le cifre della Prefettura (sia quelle del ’08 che quelle più recenti del ’10) sarebbero molto al di sotto della realtà dei fatti.
C’è però un’ulteriore conferma della discrepanza enorme tra le diverse fonti. Secondo i dati forniti dal Commissario Governativo per i Beni Confiscati – il Prefetto De Pace -, presi a sua volta dall’Agenzia del Demanio, al 30 giugno 2009 gli immobili “confiscati” presenti nella provincia di Lecco erano ben trentatre (33!). Undici di questi in gestione al Demanio e i restanti ventidue “destinati ed assegnati”. Sempre a quel periodo, 30 giugno 2009, le aziende confiscate presenti nella provincia nostrana erano tre.
Al 31 dicembre dello stesso anno, sei mesi dopo, le cifre mutano nuovamente. La provincia di Lecco balza da trentatre a trentotto, mentre si registra l’introduzione di una categoria di classificazione: “usciti dalla gestione”. Anche le aziende si moltiplicano. Grazie alla sezione “usciti dalla gestione”, eccole passare dalle tre di giugno ’09 alle diciannove (19) del dicembre dello stesso anno.
Un elenco apparentemente ripetitivo ricco di interrogativi. Quanti, quali e dove sono i beni confiscati alla ‘ndrangheta nella nostra città? Come sono mantenuti? Che tipo di destinazione hanno conosciuto? Domande elementari nella nebbia dei numeri.
Duccio Facchini
Devo proprio dire che mi viene da vomitare. Stanno distruggendo l’Italia.
L’ndrangheta ormai ha in mano anche il nord, non ci posso credere, è uno scempio.
Penso che l’unico modo per contrastarla sia oltre naturalmente ad un ricambio generazionale con nuove regole, anche ripristinare la pena di morte ed eliminare fisicamente affiliati e loro famigliari.
Questo perchè essendo un cancro, va trattata come cancro, ovvero si eliminano tutte le cellule anche quelle circostanti “potenzialmente sane”.
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