‘Ndrangheta nel lecchese: il processo “Infinito” prosegue

Padroncini, auto di lusso, camion, facce note, fatture false, professionisti invischiati in manovre poco trasparenti e un’impresa di famiglia che si squaglia. Sono state due udienze fiume quelle di martedì e venerdì scorsi, nell’aula bunker di piazza Filangieri a Milano,  del processo «Infinito». Alla sbarra, tra gli altri quaranta imputati, c’è Ivano Perego di Cassago. Seduti sulla seggiola dei testimoni, invece, si sono succeduti consulenti finanziari ed ex dipendenti del Gruppo imprenditoriale lecchese. L’esame del Pm Alessandra Dolci e il controesame delle parti civili e delle difese di Perego e Andrea Pavone (accusato d’essere il contabile della ‘ndrangheta nella ditta di Cassago) sono durati oltre di sette ore martedì.

Il primo ad essere sentito è stato Claudio Scotti di Robbiate, ex consulente della Perego Strade. Chiamato per chiarire i ruoli di  Perego e  Pavone, Scotti ha ricordato di aver conosciuto quest’ultimo presso lo studio legale dell’avvocato milanese Massimo Azzolina. «All’epoca della mia consulenza», intercorsa tra l’ottobre  2007 e il marzo  2008, «il Gruppo Perego non era in crisi». Il ruolo di Scotti era quello di fare il “tappabuchi”: «Dovevo negoziare con le banche mutui o rimedi per trovare liquidità. Mi occupavo anche di trovare lavoro per la Perego, come ho fatto con un contatto in Marocco (occasione poi sfumata, nda)». Interpellato dal Pm, Scotti ha affermato che «Pavone aveva pieni poteri nella ditta di Perego, aveva carta bianca». Perché? «Non ne ho mai avuto modo di discutere». Nel giro di cinque mesi, però,  interrompe i rapporti: «Nonostante avessi contribuito a fargli erogare un mutuo con Unicredit di 1,8 milioni euro, le scadenze non venivano mai rispettate. Non mi piace mettere la faccia per chi non mantiene la parola», ha affermato il consulente. La situazione aziendale, però, «era sostenibile», ben lontana dai 18 milioni  di buco che la premiata ditta ‘ndrangheta snc lascerà pochi anni dopo. «Quando ero presente io era tutto tranquillo, non ho mai visto Salvatore Strangio», ha risposto Scotti su precisa richiesta dell’avvocato Caccamo, legale di Pavone.
Se Strangio non l’ha mai incontrato, non può dirsi lo stesso del commercialista Antonio Carlomagno, referente del gruppo – nonché responsabile dei conti della Perego Strade fino alla nascita della Perego General Contractor. «Fu lui», ha ricordato Scotti, «a chiedermi di reperire al più presto liquidità».

Dopo Scotti è stata la volta di Enrica Todeschini di Lecco, ex dipendente di due società orbitanti nella galassia del Gruppo Perego. Di punto in bianco, in una realtà aziendale che la vedeva assunta dal 2003, si vede presentare due personaggi sconosciuti: Giovanni Barone e Andrea Pavone. I quali occupano immediatamente, e nel caso di Pavone occultamente, ruoli di primo piano nelle società. Il primo si occupa della «governance societaria», il secondo «risolve i problemi con le banche». Secondo l’accusa nel momento in cui entrano in gioco i due iniziano strani «artifici contabili» al fine di «procurarsi liquidità». Il tutto, chiaramente, sulle spalle dei dipendenti.
Per saziare gusti discutibili,  Barone si fa intestare una costosa Maserati prelevando il contante come se la debole “Fratelli Oricchio” fosse un bancomat qualsiasi. E così  Pavone (Bmw nel suo caso). E così pure il carnet da dieci assegni fatto firmare, senza indugi, al titolare dell’azienda salvo poi lasciarlo nelle disponibilità di non si sa chi. Il tutto condito da uomini misteriosi senza un ufficio eppure sempre presenti in azienda. Senza incarichi ma influenti. Senza contratto ma con macchine di lusso pagate caro mentre i dipendenti perdono il posto.

Il paradosso non è sfuggito a Massimo Drago, escavatorista della Edil Safa licenziato nel marzo  2009. Mentre gli stipendi latitavano a lui e altri colleghi toccava prender nota dell’ultimo modello della supercar dei «nuovi capi».

Testimonianza fondamentale è stata anche quella di Nadia Foglieni, ex dipendente di Perego Strade e Perego General Contractor. False fatturazioni, crediti spostati da una società all’altra, «voci aggiustate nel bilancio da parte del dottor Carlomagno», cifre «inserite a caso», libretti di assegni firmati da Elena Perego ma conservati e gestiti da  Pavone. Foglieni ha ricordato inoltre la figura di Salvatore Strangio, che secondo l’accusa ricopriva la veste di ambasciatore di ‘ndrangheta nell’impresa di Perego. «Era stato assunto nel 2008 come geometra, andava sui cantieri. Aveva una società che si chiamava Sad Building». L’azienda, intanto, cambia faccia.  Pavone si ritrova uno studio personale, dove «riceve i calabresi senza che questi debbano farsi annunciare e così anche Ivano Perego». La Perego General Contractor fatica a rialzarsi e i vertici pensano bene di spendere 7 mila euro al mese di mutuo per una villa a Alzate Brianza: «Era intestata a Elena Perego ma lì dentro viveva  Pavone», ha raccontato Foglieni. I bilanci traballano e gli odierni imputati affittano auto di lusso: Bentley, Ferrari, Mercedes, Hummer, Audi, Bmw, Porsche. «Ivano aveva la passione per la Cayenne», ha precisato il teste. Macchine, sì, ma soprattutto «gente che andava e gente che veniva». I racconti dei testimoni si intersecano tutti nel comune ricordo di un’azienda frequentata da volti mai visti prima, presunti dipendenti che dipendenti non lo sono affatto. Consulenti che non prendono ordini da nessuno. Anzi. Li impartiscono. Come Fortunato Startari e Salvatore Strangio, Pasquale Nocera e Cua Rizeri.

Un altro importantissimo nome è spuntato in udienza: quello di Paolo Zardoni di Bulciago, ex ragioniere della Perego, commissario della Lega nella circoscrizione di Merate nonché  consigliere della società dei servizi locali Lario Reti Holding, tirato in ballo da Foglieni perché «si occupava delle fatture (secondo il teste false e raddoppiate strumentalmente, nda), ricevendo disposizioni dagli uffici di sotto dove stavano Perego e Pavone». Affermazione pesante dalla quale Zardoni prende le distanze (clicca qui).

E’ stata la volta poi di Monica Sironi, ex dipendente della Costruzioni Alpe srl e successivamente della Perego General Contractor. «Ho visto per la prima volta  Pavone alla fine dell’agosto 2008. Ivano Perego mi invitò nel suo ufficio e mi disse: da oggi si costituisce una nuova società». Su mandato di Pavone, Sironi elaborava «prospetti excel con i dati delle fatturazioni e dei costi». «Pavone era il mio riferimento amministrativo». Sironi, dopo qualche tempo, si insospettisce: «Quando chiedevo ripetutamente l’elenco dei movimenti dell’home banking al ragionier Zardoni (Paolo, nda) e non me lo dava, beh, qualcosa non mi tornava». Così come non le tornava un pagamento di 80 mila euro in dieci assegni a tal dottor Di Bisceglie. Anche secondo Monica Sironi il ragionier  Zardoni faceva direttamente riferimento a Pavone.

Infine si sono succeduti gli esami di Annalisa La Porta di Perego e Chiara Pisano di Cassago, entrambe ex dipendenti del Gruppo. Pisano, riassumendo buona parte delle precedenti deposizioni, ha sottolineato come i «nuovi arrivati», da Strangio a Nocera, «non erano dipendenti normali». «Scendevano diritti negli uffici dei capi, era tutto diverso; quando arrivavano, senza bussare e senza chiedere niente a nessuno, andavano giù da Ivano». Lo stesso  Perego che, sorridendo mentre si confronta con l’avvocato Marcello Elia tra i banchi dei difensori, si rivolge verso i gradini riservati ai parenti. Qualche volta si porta il dito alla tempia e dipinge come pazzi i suoi ex dipendenti che – sostanzialmente – stanno sviscerando proprio quel periodo che a lui sta costando carissimo.

Duccio Facchini
Qui Lecco Libera 

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