“Wall Street”, l’occasione persa

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(il decreto di destinazione firmato il 29 maggio dal Prefetto e direttore dell’Agenzia nazionale, Giuseppe Caruso)

L’articolo di stamane de La Provincia di Lecco aiuta a comprendere i passaggi che hanno portato ieri (29 maggio) alla firma del decreto di destinazione (dalla Prefettura al Comune di Lecco) della ex pizzeria “Wall Street” da parte del direttore dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati. Come da noi denunciato, il Comune di Lecco ha deliberatamente gestito il percorso di individuazione, costruzione e realizzazione del progetto per la nuova vita di “Wall Street” in maniera non trasparente. Tanto che oggi il Sindaco ribadisce che “ora l’assegnazione avverrà tramite bando seppur l’oggetto sarà ben preciso”. È il “ben preciso” che contestiamo. Se le condizioni di una gara vengono tratteggiate su uno scheletro già concordato, è chiaro che il senso di un concorso di idee e contenuti è viziato all’origine. Nessuno ha coinvolto la cittadinanza, le associazioni attive, il rione interessato. Nemmeno il Consiglio comunale, che sarà eventualmente chiamato a ratificare, com’è abitudine, scelte predeterminate dalla Giunta, ha potuto spendere una parola sul futuro di “Wall Street”. Zero idee, troppo fumo.

L’interlocutore unico è stata la filiale lecchese di Libera, cui il Comune di Lecco ha delegato la redazione di un progetto di “pizzeria della legalità” che mai è stato reso fruibile, integrabile, eventualmente migliorabile. Come se il soggetto, individuato senza gara e senza alcun concorso di idee, avesse una sorta di diritto di prelazione rispetto al territorio. La tesi dell’articolo, e dunque dell’Amministrazione, che solo con un progetto precostituito si sarebbe potuta riavere “Wall Street” dall’Agenzia è semplicemente insostenibile. L’ente pubblico ha sì l’onere di proporre una strada, ma questa deve necessariamente essere costruita insieme alla collettività cui poi sarà rivolta; altrimenti un bando di gara a condizioni già decise è una farsa, non una gara.

Comprendiamo la necessità di trovare una pezza, ma leggere che “non è detto che poi sia Libera a gestire il progetto, un po’ come avviene per i project financing” è singolare. A parte che parlare di finanza di progetto a Lecco non porta granché bene, come le opere impantanate di questi anni dimostrano. In secondo luogo, non si capisce chi ricopra il ruolo del concedente (il Comune?) e del concessionario (Libera? Un altro soggetto?), per realizzare che cosa (la struttura c’è già) e chi e perché possa ottenere il contributo per la gestione (della pizzeria? Della bottega di Libera? Della sala conferenze? Di un servizio d’interesse pubblico?). Per quanti anni poi?

Segnaliamo poi all’autrice dell’articolo che il “primo progetto” per “ragazzi disabili” non è del 2008 ma porta la firma dell’ex assessore ai servizi sociali, Carlo Invernizzi (“Down Street”) almeno dieci anni prima. Così come è sbagliato il riferimento al baratto del 2010, dove il Prefetto si chiamava Nicola Prete e non Marco Valentini, giunto a Lecco otto mesi dopo. La giornalista omette poi di ricordare che la ex pizzeria Giglio, parte dello scambio di cui 2.390 cittadine e cittadini avevano chiesto la revoca (ma La Provincia di Lecco non vuole ricordarlo ai lettori), era ipotecata e “alcuni appartamenti” erano in realtà uno solo, in via Adamello.

Mistificazioni a parte, siamo curiosi di vedere il progetto “ben preciso” messo a punto da Libera e di leggere i verbali delle riunioni del Nucleo di supporto dove sarebbe emersa la “concreta ipotesi progettuale”. Specie nella parte relativa ai costi necessari per ristrutturare la pizzeria, dato che per anni sono stati -senza alcuna perizia tecnica a supporto di questa tesi- dichiarati insormontabili (il Sindaco Brivio nel 2011 parlava di oltre un milione di euro).

Qui Lecco Libera

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