Piano cave, le integrazioni su cava Mossini
Abbiamo protocollato in Provincia alcune integrazioni specifiche sulla ex cava Mossini, nei pressi del ponte Azzone Visconti, territorio condiviso da Pescate e Galbiate. Lì, la Provincia di Lecco vuole autorizzare un’escavazione per 550mila metri cubi in 10 anni di materiale sabbioso. Il pretesto è la messa in sicurezza dell’area. Nelle integrazioni (che potete scorrere qui sotto) abbiamo ricordato le “regole” che governano quel tratto di Parco del Monte Barro. Il citato Piano territoriale di coordinamento, infatti, impedisce l’apertura di nuove cave, a patto che non si tratti di casi di recupero. Aggiungendo però una parte dirimente a nostro giudizio, e cioè che deve essere “dimostrata” l'”impossibilità di soluzioni alternative”. Soluzioni alternative che il nuovo piano cave ignora, preoccupandosi di rendere “economicamente sostenibile” l’intervento, che sarà in capo ai proprietari dell’area, la società Pav Srl, costituita il 22 giugno 1983, e di cui risulta essere proprietaria del 33,3% la società Holcim (Italia) Spa.
Gli scenari su Mossini sono a dir poco preoccupanti, visto che potenzialmente nel fondo cava liberato dopo l’intervento potranno essere realizzato 120/130mila metri cubi di volumi.
Qui Lecco Libera
Riflessioni in generale
Il vecchio pensiero si scontra con il nuovo, la logica dello sfruttamento contro la logica della new economy e della sostenibilità ambientale.
Ieri abbiamo partecipato all’incontro e abbiamo si può dire assistito a un confronto generazionale. Un confronto tra due modelli di pensiero appartenenti a due epoche diverse. Un modello, quello passato, incentrato sull’ottica dello sfruttamento e dell’espansione e un modello, quello nuovo, incentrato sull’idea che le risorse che abbiamo sono un bene finito e non rinnovabile, quindi è bene preservarle anche a scapito dell’espansione innescando cicli virtuosi di coesistenza con l’ambiente.
Bene il fatto che almeno il confronto sia stato consentito dalle istituzioni che hanno partecipato al dibattito finale.
Quel che è emerso alla fine del dibattito è che le istituzioni e la cittadinanza di Galbiate sono favorevoli alla riapertura della cava Mossini perchè vogliono vedere un ripristino di quella che loro ritengono una ferita inferta al loro territorio.
Quel che lascia perplessi è il modo maldestro e irrazionale di gestire il patrimonio naturale e rischi connessi a un suo sfruttamento/ripristino.
Pare che la logica applicata nel risolvere dette questioni sia sempre e solo una logica speculativa legata a presunte necessità di bilancio comunale.
Il comune di Galbiate non ha i soldi per il ripristino quindi che fa? Chiede ai cavatori di cavare per raggiungere il ripristino finale. A chi lo chiede? A un privato (che tra l’altro sta fallendo). C’è un’altra riflessione da fare sugli oneri di urbanizzazione che il comune di Galbiate riceverebbe dalla successiva urbanizzazione delle aree ai piedi della cava.
Questo avrebbe spinto il sindaco attuale a richiedere personalmente la riapertura della cava Mossini al fine di raggiungere l’obiettivo del ripristino. Ripristino che se attuato nelle modalità auspicate dal sindaco di Galbiate, prevederebbe una modifica corposa della morfologia del versante del monte Barro, con ripristino a gradoni come nella cava di Valleoscura per poi arrivare ad una conseguente urbanizzazione delle aree ai suoi piedi ora di proprietà della PAV (di cui la Holcim è azionista). Le suddette aree attualmente hanno la concessione edilizia per un volume pari a 120.000/130.000 m3, nelle idee del sindaco uscente (sarà in carica un altro anno poi concluderà il suo mandato) c’è quella di ridurre le concessioni edilizie della metà (60.000 m3).
Quello che non convince di tutto questo ragionamento è innanzitutto il fatto che il parere tecnico su cui si poggiano tutti i ragionamenti del comune di Galbiate dell’ente di gestione del parco del monte Barro e della provincia stessa non sono abbastanza credibili, in quanto sono stati scelti dei tecnici già in rapporti di lavoro con la Holcim. Seconda cosa non c’è rilevanza comprovata di un imminente pericolo di frana della cava Mossini. Se così fosse si sarebbero già attivate le misure precauzionali imposte dalla legge e sostenute dai fondi pubblici. Per una verifica della effettiva pericolosità del sito ci vorrebbe quantomeno una perizia più accurata di cui nessuno si vuole assumere l’onere ma su cui tutti esprimono pareri personali spacciandoli come verità assolute. Terzo punto che non convince è che nel silenzio generale il sindaco ha detto che sì, verrà inoltrata la richiesta di riduzione della cubatura ma quanto questa sarà accolta non è dato saperlo preventivamente e inoltre la sua intenzione è di introdurre anche la possibilità di edilizia residenziale. Cosa attualmente non possibile. Come dire ti faccio costruire meno ma ti faccio costruire cose su cui guadagni di più e su cui guadagna di più anche il comune. Quindi appare chiaro che l’interesse non è solo quello di mettere in sicurezza la cava.