Perché il Comune di Lecco ha reintegrato il dipendente a processo per concussione
La “rivoluzione della macchina comunale” promessa in campagna elettorale s’è rivelata un flop. E la “vicenda Castagna” lo dimostra. Breve riepilogo: nella primavera 2014, quello che all’epoca era il direttore del Servizio edilizia privata del Comune di Lecco -Maurizio Castagna-, viene arrestato con l’accusa di concussione in merito ad una pratica relativa al rione di Acquate. Ed è rinviato a giudizio. Nel novembre 2014, il Comune si costituisce parte civile spendendo parole durissime nei confronti (anche) dell’ex dirigente.
Nella delibera di Giunta a proposito della costituzione si legge infatti che “La gravità dei fatti contestati agli imputati e la vasta eco d’opinione pubblica che ne è derivata […] ha determinato un danno concreto alla correttezza, alla dignità e alla trasparenza dell’azione dell’Amministrazione comunale”. A un anno dagli arresti, però, la stampa locale batte il reintegro in Comune di Castagna, ancora sotto processo ma non più “impedito” da misure restrittive. Attenzione, l’opzione della riammissione è presentata da certa cronaca come “obbligata”, come se l’ente non potesse fare altrimenti.
La questione ci incuriosisce; nell’aprile di quest’anno chiediamo quindi conto al sindaco Virginio Brivio e al segretario comunale Michele Luccisano. Quest’ultimo, a fine maggio, risponde, confermando le indiscrezioni giunteci sul reintegro presso il settore Lavori pubblici (Castagna è sotto processo per concussione, ricordiamo). Il segretario se ne assume le responsabilità e, tra le altre cose, ci scrive che il reintegro “condiviso con i dirigenti interessati”, “ha poggiato su una valutazione discrezionale – esclusivamente di ordine tecnico – che ha tenuto conto e contemperato la particolare situazione di dipendente pubblico sottoposto a procedimento penale, le esigenze e gli interessi di servizio dell’ente e il profilo professionale tecnico del sig. Castagna”.
Proprio in quelle settimane, però, “inciampiamo” nell’articolo 5 (“Sospensione cautelare in caso di procedimento penale”) del Codice disciplinare (Art. 3 – 4 – 5 del CCNL 11.04.2008 – Personale non dirigente del Comparto Regione e Autonomie Locali), il quale ai commi 2 e 3 recita che “Il dipendente può essere sospeso dal servizio con privazione della retribuzione anche nel caso in cui venga sottoposto a procedimento penale che non comporti la restrizione della libertà personale quando sia stato rinviato a giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque tali da comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento ai sensi dell’art. 3 (codice disciplinare) commi 7 e 8 (licenziamento con e senza preavviso). […] L’ente, cessato lo stato di restrizione della libertà personale, di cui al comma 1, può prolungare anche successivamente il periodo di sospensione del dipendente, fino alla sentenza definitiva […]”.
L’obbligatorietà del reintegro è quindi una castroneria giornalistica: il Codice, infatti, conferma che Comune di Lecco avrebbe potuto cautelativamente (continuare a) sospendere Castagna. Forti del riferimento normativo -siamo all’inizio di luglio- scriviamo al neo assessore ai Lavori pubblici e Risorse umane, Corrado Valsecchi, tra i più convinti sostenitori in campagna elettorale della “rivoluzione della macchina comunale”.
Alla richiesta di una valutazione del controverso reintegro -considerato il “macigno” della mancata sospensione pur prevista dal Codice disciplinare-, Valsecchi spiega che tra le ragioni che avrebbero spinto i dirigenti a reintegrare un ex collega imputato per concussione ci sarebbe anche quella legata alla “grave carenza di organici del Comune (dotazione organica 391 elementi, dipendenti effettivi 329)”.
Ma come? Il Comune è a corto di dipendenti e per tappare il buco decide di reintegrare un dipendente imputato per concussione contro il quale si è costituito duramente parte civile in un processo che peraltro è ancora in corso? Perché la sospensione disciplinare -uno strumento che nulla ha a che vedere con il piano penale né si sostituisce a chissà quale sentenza- è rimasta volontariamente inutilizzata? Il quadro è assurdo, tenendo conto poi del fatto che il Comune di Lecco è socio di “Avviso Pubblico. Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”, associazione che nella propria “Carta” (all’art. 19, “Nomine interne e in enti, consorzi e società”) fa divieto all’amministratore pubblico di conferire incarichi o nomine “presso enti, consorzi e società” a “soggetti rinviati a giudizio o sottoposti a misure di prevenzione personale e patrimoniale per reati di corruzione, concussione […]”.
Già, il Comune di Lecco non ha “aderito” al documento (a quando il grande passo?), ma il paradosso è comunque celebrato. Con buona pace della “rivoluzione della macchina comunale”.
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